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Abolire i paradisi fiscali? Sarebbe un inferno
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Abolire i paradisi fiscali? Sarebbe un inferno
C’era un tempo in cui dei paradisi fiscali e bancari si sapeva pochissimo e se ne parlava ancora meno. Nascondere al fisco le proprie ricchezze (lecite o meno) veniva considerato un gioco di alta società. Riservato soprattutto a banche, società quotate, vip e professionisti affermati. Pianificazione fiscale oppure il termine più esotico di “tax planning” si utilizzava fra gli addetti ai lavori per spiegare il ricorso a queste pratiche.

La globalizzazione dei mercati ma anche la diffusione di internet hanno negli scorsi anni avuto però l’effetto di far decollare questo mercato “grigio”. Migliaia i siti internet che propongono di costituire la propria società offshore per pagare meno tasse e sfuggire al fisco. Quello che era una volta un mercato fatto di pochi professionisti è diventato così paradossalmente uno dei mercati più trasparenti del mondo.

E’ più facile sapere quanto costa costituire (e quali tasse si pagheranno) se si decide di aprire una società a Panama o Malta che una srl in Italia. Con costi evidentemente nettamente più bassi per le società offshore. Un supermarket a cielo aperto a disposizione degli evasori fiscali o peggio dei riciclatori? Rob McKenna, italiano da molti anni trasferitosi a Panama, di questa “nicchia” di mercato ne è diventato uno dei leader. Dopo 12 anni di giornalismo d´assalto come freelance per la RAI, Panorama, Espresso e altri settimanali italiani e stranieri ha deciso di mollare tutto e trasferirsi a Panama come “esiliato fiscale”, fondando nel 1992 uno studio legale per offrire consulenze a chi, come lui, si sentiva strangolato dalla morsa fiscale.

Negli ultimi tempi il tema delle società offshore è diventato sempre più scottante. Da una parte la volontà espressa dalla maggior parte dei paesi occidentali di fare la guerra agli evasori fiscali che sottraggono un fiume di denaro alle casse erariali. La crisi economica e finanziaria ha, infatti, spinto i governi di tutto il mondo a cercare di incrementare le entrate, stringendo le maglie. Dall’altra diversi casi di cronaca recenti italiani hanno portato l’attenzione sul tema.

Il famoso appartamento di Montecarlo del cognato del presidente della Camera, Gianfranco Fini, intestato a una misteriosa società di Santa Lucia; il caso sollevato dalla trasmissione Report sulla villa ad Antigua del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi acquistata da una società domiciliata a Curacao nelle Antille olandesi ; l’accusa di evasori fiscali nei confronti degli stilisti Dolce & Gabbana che secondo le indagini della Guardia di Finanza avrebbero evaso quasi un miliardo di euro, spostando “fittiziamente” in Lussemburgo la sede centrale della loro società: i sempre più numerosi casi di italiani (vip e non) col conto non dichiarato a San Marino, Montecarlo, Liechtenstein o in Svizzera.

Inutile chiedere a Rob McKenna se i suoi consigli non sono una sorta di istigazione a delinquere . Di sensi di colpa non ci sembra di trovarne traccia in questa intervista, anzi. “Pagare meno tasse è lecito perché è necessario essere competitivi. Soprattutto dopo questa crisi e guardando cosa sta accadendo con la globalizzazione. Il giovane italiano che si affaccia nel mondo dell’impresa non è colpevole del malgoverno degli ultimi 50 anni e non vedo perché deve pagare dei debiti dello Stato come non capisco perché dovrebbe pagare più tasse di un giovane nato a Cipro”.

Si può certo pensare che il pensiero di Rob McKenna sia poco obiettivo perché vuole portare acqua al proprio mulino ma è difficile in questo settore non riconoscere come si sia in presenza di storture anche incredibili. Come pensano sempre più in molti se evadono le grandi aziende e multinazionali si parla di “pianificazione fiscale”, se provano a farlo i piccoli, i privati o le piccole e medie aziende allora è “evasione”.

Se si esaminano le società quotate a Piazza Affari si scoprirà che un numero consistente utilizza allegramente scatole in Lussemburgo, Olanda, Delaware e in mezzo mondo per pagare meno tasse a valle e soprattutto a monte, ovvero per rendere più bassa la tassazione in capo alle società di controllo dei nostri capitani d’industria & di finanza.

Nell’ultimo grande collocamento avvenuto a Piazza Affari, quello di Enel Green Power, si poteva scoprire che nel bilancio consolidato di questa società “verde” ci sono una sessantina di società domiciliate nel Delaware. La San Marino degli Stati Uniti per le società non residenti. Dai bilanci dell’Enel si scopre così che la Sheldon Springs Hydro Associates LP (Delaware) è controllata al 100% dalla Sheldon Vermont Hydro Company Inc. (Delaware), che è controllata a sua volta al 100% dalla Boot Sheldon Holdings Llc (Delaware), di proprietà al 100% della Hydro Finance Holding Company Inc. (Delaware), che è controllata al 100% dalla Enel North America Inc. (Delaware), controllata a sua volta al 100% dalla Enel Green Power International SA, (una holding di partecipazioni con sede in Lussemburgo), a sua volta controllata da Enel Produzione spa e Enel Investment Holding BV (altra holding di partecipazioni, registrata in Olanda).

E normale che pure un’impresa che vende energia e ha come azionista di riferimento il Ministero dell’Economia e delle Finanze (che ha proprio tra i suoi principali obiettivi proprio la lotta contro i paradisi fiscali, l’elusione e l’evasione fiscale) utilizzi in modo così “sofisticato” la leva dell’ingegneria finanziaria e pianificazione fiscale? L’esempio non dovrebbe venire dall’alto?

Ma ecco l’intervista a Rob McKenna, l’esperto di paradisi fiscali emigrato a Panama.

Cosa dice il borsino dei paradisi offshore? Quali sono i paradisi fiscali che tirano sempre e quelli caduti in disgrazia? Quali i più sicuri e magari insospettabili in Europa e nel mondo

“Difficile fare una classifica perché non tutti i paradisi fiscali offrono gli stessi vantaggi.

Direi che Panama si attesta ancora al primo posto, seguita dalle Seychelles e Belize per quanto riguarda le società offshore; per la banca offshore la Svizzera si mantiene ancora al primo posto, nonostante gli scandali, Andorra e Monte Carlo sono le altre piazze finanziarie preferite dagli europei. Oltreoceano va forte il Belize mente è in calo Panama che richiede molti documenti e fa molti controlli”.

Nelle scorse settimane è arriva sul fronte penale la richiesta di archiviazione dell’indagine su Gianfranco Fini riguardo la vendita sottoprezzo del “quartierino” a Montecarlo a una società offshore di Santa Lucia. Quello che è stato il caso mediatico dell’estate e che ha insegnato … a molti italiani l’Abc dei paradisi fiscali. Che idea si è fatto su questo caso?

“Questa isoletta caraibica, Santa Lucia, viene considerata da noi esperti un “paese delle banane” e sono pochissimi ad usarla, anche perché tecnicamente non fa parte dei cosiddetti paradisi fiscali, visto che applica una tassazione dell’1%. È un piccolo paese dove non esiste la certezza dell’applicazione delle leggi. Ed è un controsenso che il Ministro della Giustizia sia anche il Procuratore Generale: questo non da’ garanzie. Il paese non ha una struttura economica stabile e non è considerata una piazza finanziaria. I consulenti che l’hanno utilizzata probabilmente lo hanno fatto per non dare nell’occhio e forse non immaginavano che potesse scoppiargli nelle mani una bomba simile. Nella mia opinione non esiste modo di sapere con certezza chi sia il beneficiario delle società perché molto probabilmente sono state ordinate dai consulenti senza dare all’avvocato locale il nome del beneficiario finale”.

Si potrà mai dire con certezza se questa casa appartiene realmente al cognato di Fini come hanno dichiarato le stesse autorità di Santa Lucia?

“Ritengo difficile che venga autorizzata la rogatoria e anche se lo fosse verrebbe fornito il nome di un testa di legno. Quando non si tratta di un reato internazionale gli avvocati non sono tenuti a dare informazioni. E in un caso di questo tipo, se succedesse a me, coprirei il cliente con la certezza di non avere molti guai. Chiaramente in un piccolo paese, dove come abbiamo detto il Ministro della Giustizia è anche il Procuratore Generale le pressioni verso l’avvocato locale possono essere molto forti, ma ripeto, dubito che lui conosca il beneficiario finale. Per quanto riguarda l’autogol, che dire? A Santa Lucia non hanno nemmeno la rete internet”.

Dopo lo scudo fiscale il livello di lotta sul piano mediatico e non solo è innegabilmente aumentato nei confronti dei presunti paradisi fiscali e bancari. E alcuni paesi che avevano fondato buona parte dell’economia su questa “specialità della casa” sembrano in forte difficoltà. Si pensi al caso di San Marino. E siamo arrivati al punto che molti imprenditori italiani preferisco non ricevere alcuna fattura nemmeno dai fornitori regolari pur di non incappare in controlli incrociati. E’ la fine di un’epoca o solo di alcuni paradisi?

“Probabilmente è la fine di un modo di fare affari. Se stringono da una parte bisognerà cambiare le strategie di lavoro. Il 60% dei capitali mondiali transitano dai paradisi fiscali: vari paesi e milioni di multinazionali pagherebbero la crisi. Dai tempi di De Gaulle continuiamo ad ascoltare che i paradisi fiscali sono finiti che sono da sempre una croce ed una delizia dell’economia mondiale. Secondo alcuni sono il lato oscuro della finanza internazionale e secondo altri una necessità del sistema economico. Sono infatti utilizzati oltre che da migliaia di contribuenti, principalmente, dalle grandi imprese, spesso anche quelle a partecipazione statale o controllate dagli stati. Nell’Unione Europea si stima che la frode fiscale tocca una media del 2.5 % del Pil. In fondo fino a oggi, i paradisi fiscali sono stati dei pilastri essenziali della globalizzazione economica, con un’incidenza considerevole nel sistema finanziario. Tenendo conto del ruolo fondamentale di questi paesi nel meccanismo della globalizzazione, l’eliminazione provocherebbe delle grandi disfunzioni economiche e finanziarie. I capitali cercheranno sempre le piazze più redditizie e i sistemi tributari più favorevoli. Questa è la logica del capitalismo e la globalizzazione la favorisce”.

“Avvocato Caporaso, quali saranno le conseguenze di questa lotta verso i paradisi fiscali” dal suo punto di vista?

“Questa battaglia contro i paradisi fiscali è appena iniziata e probabilmente otterrà uno dei risultati voluti: l’aumento dei costi dei servizi offshore e la riduzione all’accessibilità degli stessi. In pratica chi paga è sempre il piccolo. Quelli che hanno rubato per decenni e ridotto sul lastrico il sistema finanziario internazionale vogliono che i cittadini abbiano solo il diritto di lavorare e pagare le tasse. Pagare per sanare gli errori degli altri. È la logica del più forte, è un mondo controllato e pieno di cittadini robot, come in quei film futuristi che presentavano una società manipolata da un’entità al di sopra delle leggi e degli individui. Questo sarà il tema di una conferenza che darò a Lugano a fine gennaio “I paradisi fiscali nel 2011”

I vostri siti sono fra i più noti e conosciuti da parte di chi guarda al mondo offshore. Un covo di evasori fiscali e furbetti o cos’altro?

“Evadere non è peccato.” L’evasione fiscale “non solo non è rubare”, “in Italia potrebbe addirittura essere l’inverso: un’autodifesa per non essere derubati”. Così la pensava Don Baget Bozzo e anche questo pensiero fa parte della sua eredità. Ed i primi ad evadere sono proprio i politici italiani, ovviamente, loro, lo fanno alla luce del sole, legalmente. E mentre il Governo difende gli studi di settore per imprese ed autonomi, i politici hanno entrate esentasse ma non si ritengono fuori linea. I nostri servizi sono offerti ad imprenditori globalizzati che sfruttano alcune giurisdizioni per essere piú competitivi e sfuggire ad una morsa fiscale ingiusta. “Se pagassimo tutti le tasse, se ne pagherebbero meno”, questo è il tenore della campagna di contro-informazione dell’ufficio delle Entrate italiane. La realtà è ben differente: “Se pagassimo tutti le tasse, il governo spenderebbe di più”, aumenterebbe come già sta aumentando il buco del bilancio pubblico che “regala”a tutti gli italiani, anche i neonati, 30 mila euro di debiti. Basta osservare i mille sprechi della cosa pubblica. Secondo il Governo, in Italia abbiamo tante auto blu che non sappiamo neanche il loro numero preciso: il ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ha firmato recentemente una direttiva per avviare un monitoraggio e capire, finalmente, quante ne abbiamo”.

Non vi sentite quindi dei fiancheggiatori dei riciclatori?

“Per quanto riguarda il riciclaggio, non passa quasi mai dai paradisi fiscali, la criminalità ha una specie di economia propria basata sulla compensazione: mi mandi cocaina dal Perú e ti invio eroina dalla Tailandia; cocaina dalla Colombia in cambio di armi dall’est Europa e cosi via. Anche per i soldi hanno i loro canali, vere e proprie banche senza licenza”.

Un paese considerato sicuro e inaccessibile sotto il punto di vista del segreto bancario come la Svizzera ha iniziato negli ultimi anni a mostrare sempre più buchi alla propria impenetrabilità. E di fatto le autorità americane sembrano essere riuscite oramai a ottenere una collaborazione sempre più ampia sotto la minaccia delle ritorsioni. La Svizzera non è più quella di una volta e quali altri paradisi bancari stanno prendendone il posto?

“Io direi che la Svizzera si sta adeguando con leggi di facciata. Non aprono conti a cittadini americani e questi prendono una seconda nazionalità per ottenere un passaporto a solo uso bancario. Altrimenti si usano fiduciari. Fatta la legge, fatto l’ inganno”.

Non è po’ una contraddizione che se da una parte gli Stati Uniti fanno la guerra ai paradisi offshore dall’altra proprio uno stato americano, il Delaware, viene considerato come fra i migliori al mondo per chi ricerca segretezza e fisco leggero?

“Come ho ripetuto: i paradisi fiscali fanno parte del sistema economico attuale. Gli americani non vogliono fughe di capitali quindi lasciano aperta la porta sul retro. Oltre al Delaware ci sono parecchi altri stati con legislazioni uguali”.

Chi sono il tipo di italiani che usano le sue società e cosa vogliono quando si rivolgono a lei?

“In maggioranza sono giovani che non hanno i capitali per iniziare una attività secondo il sistema societario italiano. Altri sono strozzati dalla morsa del fisco e solo cercano una via d’ uscita. In genere sono imprenditori che hanno capito che se non rende investire in Italia, in un mondo globalizzato, ci sono altre alternative. A Panama ad esempio l’ Iva è del 7% e pochi cercano di evaderla, a Cipro la tassazione è del 10% e non conviene ingegnarsi per non pagare le tasse”.

L’Italia è un paradiso fiscale? E se sì per chi? Solo per gli evasori?

“Anche l’ Italia ha i suoi Paradisi Fiscali che possono essere su alcune voci le regioni a Statuto Speciale. Ogni Stato favorisce nel modo più consono le aree considerate meno sviluppate. In Italia ci sono oltre quattrocentomila politici tra eletti, addetti e consulenti e almeno centocinquantamila auto blu per un costo vicino ai 5 miliardi di Euro.

Se fosse stato fatto uno “studio di settore” ci si sarebbe resi conto che le tasse non pagate dai politici sommano oltre 235 milioni di euro. Una bella somma per uno stato indebitato e per il cittadino tartassato. Prendiamo in considerazione gli stipendi dei parlamentari, consiglieri comunali, regionali e provinciali, ovvero dei politici di professione. All’erario mancano 225 milioni di euro che corrisponde a voci “esenti tasse” come le diarie e i rimborsi spese che sommano circa il 40% della “busta paga” e dalla tassazione a basso scaglione. Ma per loro é tutto legale. Neanche si tratta di elusione, é un vero e proprio furto ai danni della comunità. Chi ha un’azienda o fa una professione libera non paga le tasse a sufficienza, però chi legifera e stabilisce quanto devono pagare gli altri, evade alla luce del sole”.

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