Il famoso appartamento di Montecarlo del cognato del presidente della Camera, Gianfranco Fini, intestato a una misteriosa società di Santa Lucia; il caso sollevato dalla trasmissione Report sulla villa ad Antigua del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi acquistata da una società domiciliata a Curacao nelle Antille olandesi ; l’accusa di evasori fiscali nei confronti degli stilisti Dolce & Gabbana che secondo le indagini della Guardia di Finanza avrebbero evaso quasi un miliardo di euro, spostando “fittiziamente” in Lussemburgo la sede centrale della loro società: i sempre più numerosi casi di italiani (vip e non) col conto non dichiarato a San Marino, Montecarlo, Liechtenstein o in Svizzera.
Inutile chiedere a Rob McKenna se i suoi consigli non sono una sorta di istigazione a delinquere . Di sensi di colpa non ci sembra di trovarne traccia in questa intervista, anzi. “Pagare meno tasse è lecito perché è necessario essere competitivi. Soprattutto dopo questa crisi e guardando cosa sta accadendo con la globalizzazione. Il giovane italiano che si affaccia nel mondo dell’impresa non è colpevole del malgoverno degli ultimi 50 anni e non vedo perché deve pagare dei debiti dello Stato come non capisco perché dovrebbe pagare più tasse di un giovane nato a Cipro”.
Si può certo pensare che il pensiero di Rob McKenna sia poco obiettivo perché vuole portare acqua al proprio mulino ma è difficile in questo settore non riconoscere come si sia in presenza di storture anche incredibili. Come pensano sempre più in molti se evadono le grandi aziende e multinazionali si parla di “pianificazione fiscale”, se provano a farlo i piccoli, i privati o le piccole e medie aziende allora è “evasione”.
Se si esaminano le società quotate a Piazza Affari si scoprirà che un numero consistente utilizza allegramente scatole in Lussemburgo, Olanda, Delaware e in mezzo mondo per pagare meno tasse a valle e soprattutto a monte, ovvero per rendere più bassa la tassazione in capo alle società di controllo dei nostri capitani d’industria & di finanza.
Nell’ultimo grande collocamento avvenuto a Piazza Affari, quello di Enel Green Power, si poteva scoprire che nel bilancio consolidato di questa società “verde” ci sono una sessantina di società domiciliate nel Delaware. La San Marino degli Stati Uniti per le società non residenti. Dai bilanci dell’Enel si scopre così che la Sheldon Springs Hydro Associates LP (Delaware) è controllata al 100% dalla Sheldon Vermont Hydro Company Inc. (Delaware), che è controllata a sua volta al 100% dalla Boot Sheldon Holdings Llc (Delaware), di proprietà al 100% della Hydro Finance Holding Company Inc. (Delaware), che è controllata al 100% dalla Enel North America Inc. (Delaware), controllata a sua volta al 100% dalla Enel Green Power International SA, (una holding di partecipazioni con sede in Lussemburgo), a sua volta controllata da Enel Produzione spa e Enel Investment Holding BV (altra holding di partecipazioni, registrata in Olanda).
E normale che pure un’impresa che vende energia e ha come azionista di riferimento il Ministero dell’Economia e delle Finanze (che ha proprio tra i suoi principali obiettivi proprio la lotta contro i paradisi fiscali, l’elusione e l’evasione fiscale) utilizzi in modo così “sofisticato” la leva dell’ingegneria finanziaria e pianificazione fiscale? L’esempio non dovrebbe venire dall’alto?
Ma ecco l’intervista a Rob McKenna, l’esperto di paradisi fiscali emigrato a Panama.
Cosa dice il borsino dei paradisi offshore? Quali sono i paradisi fiscali che tirano sempre e quelli caduti in disgrazia? Quali i più sicuri e magari insospettabili in Europa e nel mondo
“Difficile fare una classifica perché non tutti i paradisi fiscali offrono gli stessi vantaggi.
Direi che Panama si attesta ancora al primo posto, seguita dalle Seychelles e Belize per quanto riguarda le società offshore; per la banca offshore la Svizzera si mantiene ancora al primo posto, nonostante gli scandali, Andorra e Monte Carlo sono le altre piazze finanziarie preferite dagli europei. Oltreoceano va forte il Belize mente è in calo Panama che richiede molti documenti e fa molti controlli”.
Nelle scorse settimane è arriva sul fronte penale la richiesta di archiviazione dell’indagine su Gianfranco Fini riguardo la vendita sottoprezzo del “quartierino” a Montecarlo a una società offshore di Santa Lucia. Quello che è stato il caso mediatico dell’estate e che ha insegnato … a molti italiani l’Abc dei paradisi fiscali. Che idea si è fatto su questo caso?
“Questa isoletta caraibica, Santa Lucia, viene considerata da noi esperti un “paese delle banane” e sono pochissimi ad usarla, anche perché tecnicamente non fa parte dei cosiddetti paradisi fiscali, visto che applica una tassazione dell’1%. È un piccolo paese dove non esiste la certezza dell’applicazione delle leggi. Ed è un controsenso che il Ministro della Giustizia sia anche il Procuratore Generale: questo non da’ garanzie. Il paese non ha una struttura economica stabile e non è considerata una piazza finanziaria. I consulenti che l’hanno utilizzata probabilmente lo hanno fatto per non dare nell’occhio e forse non immaginavano che potesse scoppiargli nelle mani una bomba simile. Nella mia opinione non esiste modo di sapere con certezza chi sia il beneficiario delle società perché molto probabilmente sono state ordinate dai consulenti senza dare all’avvocato locale il nome del beneficiario finale”.
Si potrà mai dire con certezza se questa casa appartiene realmente al cognato di Fini come hanno dichiarato le stesse autorità di Santa Lucia?
“Ritengo difficile che venga autorizzata la rogatoria e anche se lo fosse verrebbe fornito il nome di un testa di legno. Quando non si tratta di un reato internazionale gli avvocati non sono tenuti a dare informazioni. E in un caso di questo tipo, se succedesse a me, coprirei il cliente con la certezza di non avere molti guai. Chiaramente in un piccolo paese, dove come abbiamo detto il Ministro della Giustizia è anche il Procuratore Generale le pressioni verso l’avvocato locale possono essere molto forti, ma ripeto, dubito che lui conosca il beneficiario finale. Per quanto riguarda l’autogol, che dire? A Santa Lucia non hanno nemmeno la rete internet”.
Dopo lo scudo fiscale il livello di lotta sul piano mediatico e non solo è innegabilmente aumentato nei confronti dei presunti paradisi fiscali e bancari. E alcuni paesi che avevano fondato buona parte dell’economia su questa “specialità della casa” sembrano in forte difficoltà. Si pensi al caso di San Marino. E siamo arrivati al punto che molti imprenditori italiani preferisco non ricevere alcuna fattura nemmeno dai fornitori regolari pur di non incappare in controlli incrociati. E’ la fine di un’epoca o solo di alcuni paradisi?
“Probabilmente è la fine di un modo di fare affari. Se stringono da una parte bisognerà cambiare le strategie di lavoro. Il 60% dei capitali mondiali transitano dai paradisi fiscali: vari paesi e milioni di multinazionali pagherebbero la crisi. Dai tempi di De Gaulle continuiamo ad ascoltare che i paradisi fiscali sono finiti che sono da sempre una croce ed una delizia dell’economia mondiale. Secondo alcuni sono il lato oscuro della finanza internazionale e secondo altri una necessità del sistema economico. Sono infatti utilizzati oltre che da migliaia di contribuenti, principalmente, dalle grandi imprese, spesso anche quelle a partecipazione statale o controllate dagli stati. Nell’Unione Europea si stima che la frode fiscale tocca una media del 2.5 % del Pil. In fondo fino a oggi, i paradisi fiscali sono stati dei pilastri essenziali della globalizzazione economica, con un’incidenza considerevole nel sistema finanziario. Tenendo conto del ruolo fondamentale di questi paesi nel meccanismo della globalizzazione, l’eliminazione provocherebbe delle grandi disfunzioni economiche e finanziarie. I capitali cercheranno sempre le piazze più redditizie e i sistemi tributari più favorevoli. Questa è la logica del capitalismo e la globalizzazione la favorisce”.
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